I CARBONAI DI BONDONE – Questo portfolio è stato realizzato durante il mese di ottobre di quest’anno di lock-down (2020) nel paesino di Bondone, un aggregato urbano di poche anime, circa 200 situato nella Valle del Chiese molto vicino a Storo – paese famoso per l’oro giallo (la famosa farina di mais di Storo) – in Trentino al confine con la regione Lombardia.
Quella del carbonaio è un’attività molto faticosa, viene espletata quasi da tutti gli abitanti di Bondone fin dagli anni settanta.
Ho avuto il piacere di incontrare tre di questi “carbonai” di Bondone: Pietro il più anziano dei tre, Dario e Mansueto. Tra noi si è instaurato, fin da subito, un rapporto di amicizia e di fiducia – non è facile fotografarli durante il lavoro, durante la preparazione del “poiat”, viene così chiamato l’ammasso, catasta di legna che da vita al “poiat”.
Il primo giorno si è iniziato intorno alle sette del mattino; il luogo della ripresa fotografica è totalmente ombrato, quindi sorgono molte difficoltosa per degli scatti fotografici incisivi e rappresentativi.
Si incomincia con il conficcare nel terreno già preparato per conto suo, il palo centrale, poi piano piano, un pò alla volta e con molta abilità i tre uomini incominciano a dar vita al “castello” tutt’intorno al al palo centrale.
Finito il “castello”, si comincia il lavoro certosino dell’accatastamento intorno ad esso di legna, un lavoro che dura circa due giorni.
Dopo un paio di giorni, mi chiamano e mi comunicano che tutto è pronto per la continuazione del servizio fotografico, e che l’accensione del “poiat” verrà fatta verso le ore quattro del mattino; buio totale. All’ora fissata (quattro) mi faccio trovare, puntuale, sul posto dell’evento, arrivano anche Dario e Mansueto, Pietro, vista l’età è rimasto a riposare – più che giusto – dal momento che le sue sono già 84 primavere. Incominciano a fare il fuoco per formare la brace che servirà per l’accensione del “poiat”.
Alle quattro e mezza, viene sfilato il palo centrale attorno a cui si trova il castello e incominciano a dar da “mangiare” – così è chiamato il rito di inserimento della brace dentro l’orifizio lasciato dal palo centrale – al “poiat”.
Questa fase si protrae per qualche ora, fino alle sette circa, poi potrò ritornarmene a casa a riposare; abito a circa trenta chilometri da qui e precisamente nella Val di Ledro.
I carbonai, devono sorvegliare l’andamento della combustione del “poiat” qundi Dario e Mansueto, dormono su un giaciglio alla buona vicino al posto; ogni due ore si recano a controllare che tutto funzioni a dovere, se si dovessero formare fiamme, dovrebbero essere subito soffocate mediante spruzzi d’acqua. Questa fase è abbastanza lunga e si protrae per circa due giorni e due notti. Il quarto giorno risalgo di nuovo per andare a vedere com’è la situazione; Dario mi racconta un po’ delle due nottate trascorse al freddo, siamo a seicento metri di altitudine e in ottobre c’è un’umidità pazzesca.
Poi arrivano Mansueto e Pietro e cominciano a “fareddare” il “poiat” con parecchi secchi d’acqua, per prepararlo per il giorno seguente.
Finalmente il giorno dopo arriva il momento dell’estrazione del carbone, per Pietro, Dario e Mansueto è la giornata più dura, ma sicuramente la più gratificante, si spera che il “poiat” abbia funzionato bene e che si sia ottenuto un bel quantitativo di buon carbone.
Infatti è proprio così, lo scarto è stato pochissimo ed il carbone è di buona qualità, “canta” – così dicono – il carbone deve essere leggero e deve “cantare”.
Vengono impiegate circa sette ore per la selezione e il riempimento di cinquanta sacchi di pregiato carbone, sarà venduto ai vari ristoranti e a privati cittadini per buone grigliate e ottimi “spiedi”.
Per quanto riguarda l’attrezzatura fotografica, credo ci vorrà un po’ di tempo prima che si dissolva e svanisca l’odore di fumo di cui si è impregnata.
Renzo Mazzola
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