Il carretto siciliano (in siciliano carrettu) è un mezzo a trazione equina adibito al trasporto merci, in uso in tutto il territorio siciliano dal XIX secolo fino alla seconda metà del XX secolo, quando divenne obsoleto a causa della crescente motorizzazione del lavoro nelle campagne. Costruito con diverse qualità di legno, spesso fregiato da intagli bucolici e sgargianti decorazioni pittoriche, al giorno d’oggi è divenuto oggetto d’arte artigianale, nonché uno dei simboli dell’iconografia folcloristica siciliana.
Un carretto è composto dal “funnu di càscia”, cioè il pianale di carico, prolungato nella parte anteriore e in quella posteriore da due “tavulàzzi”, sul quale sono montati parallelamente due “masciddàri” (mascidda=mascella) ovvero le sponde fisse del carretto, e un “purtèddu” (portello posteriore) amovibile per agevolare le operazioni di carico e scarico. Ogni masciddaru è suddiviso equamente in due scacchi (riquadri in cui sono dipinte le scene), nel purteddu vi è uno scacco centrale fra due scacchi laterali più piccoli. Gli scacchi sono divisi da un segmento verticale che congiunge i pannelli al funnu di cascia: sei, in legno, chiamati barrùni, equamente divisi fra masciddari e purteddu, due in metallo denominati centuni presenti solo sui masciddari.
Questa sezione “contenitiva” sormonta il gruppo portante del carretto chiamato “traìno”, il quale comprende le “aste” e la “cascia di fusu”, a sua volta costituita da una sezione di legno intagliato sormontata da un arabesco di metallo.
Fra le aste, sotto i tavulazzi vengono montate due parti in legno chiamate chiavi, una anteriore ed una posteriore. La prima altro non è che una semplice barra ricurva, la seconda invece consiste in un bassorilievo intagliato rappresentante una scena, solitamente cavalleresca, che può assumere diversi gradi di pregevolezza.
Origine del testo: Wikipedia
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