SOMMARIO |
ALLA SCOPERTA DELLA TERRA DI ZABUT |
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NOTIZIE VISITA ALLA CITTÁ PALAZZI CHIESE |
Per riuscire a leggere la geografia storico-culturale dell’odierna Sambuca di Sicilia (ieri Zabut), occorre distinguere alcuni momenti storici tenendo altresì presente quello preistorico. Il periodo preistorico, meglio sarebbe dire, protostorico, nel territorio sambucese, è caratterizzato dalla presenza degli Elimi che fondarono Elima ed Entella, e dei Sicani che spinsero i primi verso la parte Nord-Ovest dell’Isola. Basamenta di capanne preistoriche di quest’epoca si trovano nelle adiacenze della zona archeologica di Adranone. Si tratta di resti costituiti da massi di pietra calcarea disposti in forma circolare e di utensili primitivi. Si presume risalgono al periodo anteriore al VII secolo a. C., al tempo cioè in cui ha inizio la penetrazione greca in Sicilia. a) Greci e Punici Con la penetrazione fenicia il territorio sambucese si affaccia alla storia. Nella zona archeologica di Adranone le alterne vicende tra coloni greci. e commercianti e colonizzatori cartaginesi si rivelano intersecate attraverso i ricchi e numerosi reperti sino ad oggi portati alla luce. Adranone scompare dalla storia con la sua distruzione avvenuta con l’ultima guerra servile nel 103/105 a. C. ad opera degli eserciti romani. b) Gli adragnini in Adragna Distrutta Adranone gli abitanti superstiti fondano una nuova città più a valle cui danno il nome di Adragnus-(Qggi Adragna) per ricordare la loro città di origine. Adragnus originariamente fu un borgo rurale pressocché ignorato dai Romani. Nel periodo paleocristiano fu evangelizzato e divenne una comunità cristiana. Vi sorsero successivamente, sul finire del primo millennio, delle imponenti chiese. Si ha notizia certa di tre luoghi di culto dedicati a S. Vito martire, a S. Nicolò di Bari e alla Madonna Bambina. Nel periodo saraceno questa comunità restò chiusa e limitata ai rapporti con gli arabi che, costruita Zabut più a Sud nel cuore della vallata, pretesero dai cristiani di Adragnus il pagamento della «gesìa», un tributo che veniva fatto pagare ai cristiani per potere professare senza noie la propria fede con atti liturgici e culto pubblico. c) Zabut (830 d. C.) Zabut, l’odierna Sambuca, fu fondata dagli Arabi intorno al 1830 qualche anno dopo il loro sbarcò in Sicilia. Circa l’etimologia del nome «Zabut» esistono varie interpretazioni. Leonardo Sciascia («Pirandello e la Sicilia») scompone l’attuale nome Sambuca in as-Sabuqah e lo interpreta «luogo remoto». Il Salotto sambucese della metà dell’800 fu indeciso tra due interpretazioni: Sambuca, da Zabut, strumento musicale a corde di forma triangolare e macchina da guerra (da «sambukiè»). Infine, Vincenzo Navarro, l’animatore del «Salotto», decretò che «Sambuca», «Zabut», non è altro che un’«Arpetta». Il Navarro, però, commise l’errore di mettere insieme due sinonimi per ridare un nome ad una cittadina fino allora chiamata «La Sambuca» e da allora sino al 1928 Sambuca Zabut; nel ’28 Mussolini cancellò Zabut e la specificò regionalmente aggiungendo «…di Sicilia». L’interpretazione più storicamente ed etmologicamente perfetta ci sembra sia quella che ricaviamo dal documento di Guglielmo II, detto il Buono, datato 1185 con il quale si donava alla Chiesa di Monreale la «Chabuta seu Zabut». Appare chiaro che Chabuta (splendida), in questo documento vuole essere una specie di esplicitazione di Zabut o Zabut un’esplicitazione di Chabuta. Il che è avvalorato dalla congiunzione disgiuntiva latina «seu», ovvero.
Ma perché Zabut? – (foto) La tradizione popolare e la leggenda indicano quale fondatore di Sambuca l’Emiro Al-Zabut, un seguace dell’ascetico conquistatore maghrebino I’bn Mankud l’«ardente guerriero della fede», signore indipendente delle Kabyle di Trapani, Marsala e Sciacca che guidò le truppe d’assalto dell’Affriygia alla conquista di Castrogiovanni, Val di Noto e, dopo lungo assedio, alla presa di Siracusa, allora capitale bizantina dell’isola. Secondo questi dati l’Emiro Al-Zabut partecipò come giovane guerriero alla conquista della testa di ponte di Mazara ed ebbe ruolo di rilievo nei combattimenti di Girgenti e Castrogiovanni, guadagnandosi per il suo valore l’appellativo «Al-Chabut» «lo Splendido» che trasmise alle terre da lui conquistate. Zabut fu abitata da popolazione islamica fino al tredicesimo secolo fino a quando si ribellò alle operazioni di consolidamento- imperiale ordinate da Federico II che costruì il Castello di Giuliana da usarsi come quartiere generale per la soluzione definitiva della «questione saracena» in Sicilia, voluta anche dal Papa. Zabut resistè per due anni. La resistenza fu stroncata nel 1225e la strage fu totale. Sambuca conserva ancora le tracce di questa sua matrice islamica nel «quartiere arabo», costituito da un impianto urbano che si sviluppò attorno a sette vicoli («Vicoli..saraceni») trasformati in un museo vivente di storia arabo-sicula e nella fortezza di Mazzallakkar sulle sponde del Lago Arancio che viene sommersa ogni qualvolta s’innalza il livello del Lago. La cultura, le tradizioni popolari, i modi di esprimersi degli abitanti di Sambuca testimoniano di questa origine storica. La Cittadina-fortezza di Zabut, dopo l’eccidio e la deportazione dei superstiti saraceni, fu lentamente ricostruita. Gli arabi convertitisi al Cristianesimo per paura o per convinzione e i cristiani di Adragnus convissero insieme pacificamente. d) Gli Adragnini a Zabut (1411) Distrutta nell’autunno del 141.1 Adragnus, sul finire della lunga guerra di successione al Regno di Sicilia, la cui protagonista fu una donna, Bianca di Navarra, gli Adraqnini si trasferirono nella fortezza di Zabut, risparmiata alla distruzione per l’eroica resistenza opposta all’assedio dei seguaci del Barone di Modica e per l’imponenza delle sue fortificazioni. Avviene, così che il primitivo impianto urbano della parte settentrionale di Zabut, costituito da un’acropoli e da un quartiere di viuzze, incomincia ad ampliarsi verso le propaggini più basse della collina. Dal XV al XIX secolo “La Sambuca” conosce alterne vicende: prosperità e pestilenze, benessere e miseria, splendore e terremoti. Nonostante tutto “La Sambuca” progredisce. Sorgono nuovi quartieri, si allarga la cinta delle mura, vengono costruiti palazzi baronali e signorili, chiese, monasteri e conventi. Da Baronia la Terra della Sambuca viene promossa con privilegio di Filippo II (Madrid 15 novembre 1570) a Marchesato. Il quale, il 16 settembre 1666, passa, a causa di un matrimonio, ai Beccadelli di Bologna assurti successivamente al rango di Principi con il Principato di Camporeale. Il titolo viene a tutt’oggi detenuto dagli eredi. I Principi, Marchesi della Sambuca, i più celebri furono Don Pietro (1695-1781) e il figlio Don Giuseppe (1726-1813). L’800 si presenta nella Sambuca ricco di fermenti culturali. Si forma in quegli anni una classe medio-borghese illuminata, che in Vincenzo Navarro (1800-1867) trova l’animatore più qualificato essendo ad un tempo medico, letterato, poeta e patriota. Un giovanissimo studente universitario, Gaspare Puccio, viene impiccato nella Piazza del Mercato a Napoli il primo febbraio del 1800 per aver partecipato ai moti rivoluzionari. L’episodio rivela contraddizioni profonde nel tessuto delle classi socio-politico sambucesi e sarà causa di lacerazioni destinate ad aggravarsi in tutto l’arco dell’800. È inspiegabile, infatti, come mai sia potuto accadere un episodio del genere nella Napoli in cui Don Giuseppe Beccadelli, Marchese della Sambuca, era reggente e Ministro del Regno. Tramontato il periodo borbonico inizia il faticoso assetto del regno unitario. La Sicilia stenta a divenire italiana. Sambuca Zabut, nonostante tutto, partecipa alle guerre: guerre coloniali in Somalia (1893), in Tripolitania (1911), ultima guerra di indipendenza (1914-1918); alla formazione delle nuove classi sociali; ai movimenti di aggregazione sindacale e dei nuovi partiti politici; e alle grandi emigrazioni della fine del secolo (1880-90) dell’inizio del 900 (1910) e dell’immediato primo (1919) e secondo (1945) dopoguerra. Al di là delle contraddizioni, oggi Sambuca di Sicilia ci appare con la caratteristica della ricca eredità del passato. Vi si pubblica un mensile, «La Voce di Sambuca», esiste una ricca Biblioteca comunale aperta al pubblico, un Teatro comunale, un’Associazione Polisportiva, un’Associazione sportiva di equitazione, tre circoli culturali, due campi sportivi, uno spazio verde attrezzato nel bosco «Risinata», una pista ippica A.E.Z. sulle sponde del Lago Arancio, l’Associazione Turistica Pro Loco «Adragna-Carboj», Tiro a volo «3 fosse» in contrada Arancio. Sono in atto grandi opere pubbliche per la ricostruzione delle abitazioni distrutte dal terremoto del 1968. La Municipalità sensibile ai temi dello sviluppo economico civile e sociale ha portato avanti grandi iniziative: l’acqua per usi civili e irrigui, i servizi sociali, una programmazione per lo sviluppo turistico e l’occupazione giovanile, la funzionalità logistica nella scuola dall’asilo nido alle scuole dell’obbligo. I poli di destinazione turistica individuati nel programma di sviluppo che Sambuca oggi offre ai visitatori e che nel prosieguo degli anni saranno dotati di attrezzature idonee ad una recettività efficiente sono costituiti dal Lago Arancio, dai boschi, dal Palazzo Panittieri, dai Sette Vicoli saraceni e dalla zona Archeologica di Adranone.
In visita nella città di Zabut Il forestiero o il visitatore che arriva a Sambuca, sia che vi giunga dall’interno della Sicilia (Palermo-Corleone) o.dalle strade statali che costeggiano il Mare Mediterraneo entra nella cittadina dall’unico ingresso che storicamente la Porta principale di Zabut: Porta Santa Maria sulla Via Grande oggi Corso Umberto I. Si tratta di un, asse viario urbano che taglia in due parti Sambuca. Difatti la cittadina si adagia su una collina in leggero declivio da Nord verso Sud-ovest e Sud-est a forma di schiena d’asino. Nel dorso della schiena si dilunga per circa mille metri il Corso Umberto che va dalla. strada statale 188 sino agli archi su cui è costruito il Palazzo Municipale. Dal Municipio, sempre verso Nord, il corso cambia nome e si chiama Via Belvedere perché, conduce ad un ampio terrazza ricavata dagli spalti dell’antico Castello di Zabut che fu demolito nell’800 da dove si può ammirare un suggestivo panorama. Villetta comunale – (foto) All’ingresso del Corso sulla sinistra adiacente alla Piazza Libertà è la Villetta comunale, mentre sulla destra troviamo un vecchio fabbricato ingiallito dal tempo che ospitò per diversi decenni un mulino meccanico,, e la Sala cinematografica «Elios». Teatro comunale – (foto) – (foto) Da qui inizia l’impianto urbano più monumentale di tutta la cittadina. A destra subito dopo la Villetta comunale si trova il Teatro Comunale, gioiello dell’artigianato locale della prima metà dell’800. Il Teatro fu costruito tra il 1848 e il 1851 a spese di un gruppo di borghesi, aperto agli influssi artistici, letterario e patriottici, ma creatore anche di iniziative promozionali autonome. Difatti sono sorti pressoché contemporaneamente i grandi teatri siciliani come il Massimo e il Politeama di Palermo, il Bellini di Catania e il Regina Margherita nella vicina Girgenti. Il Teatro comunale ha la forma classica a ferro di cavallo con volta a cupola schiacciata, tre ordini di palchi, la platea, un ampio palcoscenico. Passato in proprietà al Comune il 2 febbraio 1886, nel corso degli anni fu sottoposto ad importanti restauri. Il primo avvenne sul finire dell’800. Il secondo di recente, agli inizi degli anni ’70, essendo stato danneggiato dagli eventi sismici del gennaio 1968. Dopo questo restaur6 è stato arredato e aperto alla pubblica fruizione. Chiesa di San Calogero – (foto) Di fronte al Teatro si trova in pessime condizioni statiche la chiesetta di San Calogero fondata da certo Nicolò Sagona con un contratto stipulato con i Giurati del tempo il 18 luglio 1669 presenta la caratteristica dello stile del tempo: unica navata, lesene che sostengono il cornicione perimetrale, abside a mezza botte con cupoletta che si raccorda all’arcata della volta; porta lignea con motivazioni tratte dalla vita del Santo scolpite in bassorilievo molto danneggiate. Oggi la Chiesa, dopo un dignitoso e profondo restauro ospita l’Istituzione Gianbecchina.
Proseguendo sempre per il Corso Umberto si può ammirare sulla sinistra il frontespizio di Palazzo Mangiaracina. Costruito nella prima metà dell’800 è dominato dalle sobrie movenze architettoniche del portale: colonne lisce su pilastrature rettangolari di pietra tufacea dura che reggono l’aggetto, pure in pietra tufacea, di un balcone centrale del palazzo. Palazzo dei Baroni Campisi – (foto) Sempre sulla sinistra poco più avanti è l’impianto del Palazzo dei Baroni Campisi, del settecento. Esteriormente subì nel passato, remoto e recente, soprastrutture di vario genere che hanno alterato la fisionomia originale. Smembrato nell’unitarietà architettonica interna per ragioni di divisioni ereditarie conserva poco della caratteristica originaria.
Palazzo dei Baroni Oddo – (foto) Simile sorte subì il Palazzo degli Oddo che si erge poco più avanti sul lato destro del Corso. Sorto nella seconda metà del ‘600 conserva ancora l’imponenza esteriore: lunga balconata nel quarto nobile, corniciatura sul filo di gronda di pietra tufacea con sculture ogivali. Chiesa di San Giuseppe – (foto) Appartenente alla prima metà del 1600 è la Chiesa di S. Giuseppe situata sempre nel Corso sul lato destro all’angolo della Via Orfanotrofio. Il frantespizio – rifatto in epoca recente rispetto alla costruzione della Chiesa – cerca di armonizzarsi con la linea del portale di imitazione arabo-normanna. Tuttavia si tratta di un’opera imponente fine e dignitosa. Un rosone fa da stacco tra la nicchia ad arco a sesto, nella quale è collocata una statua di pietra del Santo titolare e l’angolo acuto del frantone. All’interno sono interessanti: una statua lignea di S. Giuseppe, del 1812, donata dal Marchese della Sambuca, opera di artigianato palermitano, alcune tele e un affresco di Fra Felice della Sambuca (1734-1805) sulla volta. Sempre sul Corso, tra Vicolo Beccadelli e Via Pietro Caruso, sulla destra, è un impianto massiccio che originariamente – come ricorda l’Abate Amico – costituì la dimora dei Marchesi della Sambuca. La realizzazione dovette avvenire in un arco di tempo molto lungo e su preesistenti fabbricati che si articolavano nell’ambito di un intero isolato delimitato dalle Vie Beccadelli, Baglio Grande, P. Caruso e dalla Via Grande o Corso Umberto. Nell’isolato si comprendevano: la Chiesa di S. Sebastiano e l’Ospedale Pietro Caruso (1500) di cui oggi si possono ammirare solo gli imponenti frontespizi, alcuni fabbricati di antica struttura ma manomessi da esigenze logistiche attraverso i secoli, e poi il massiccio beccadelliano che va sino all’angolo del vicolo omonimo. Interessanti lo scalone catalano nell’interno del cortile, il monumentale balcone centrale sormontato dallo stemma della famiglia.
Palazzo della Cassa rurale – (foto) Di fronte al Beccadelli si trova il Palazzo della Cassa rurale, già Campisi. Frontespizio di stile rinascimentale in pietra tufacea dura di data posteriore alla costruzione, che dovette essere realizzato non più tardi del ‘700. Recentemente restaurato è uno dei palazzi più belli di Sambuca. Chiesa e Monastero di S. Caterina – (foto 1) – (foto 2) – (foto 3) Di fronte all’Ospedale Pietro Caruso è la Chiesa e i resti del Monastero di S. Caterina. La Chiesa faceva parte del monastero delle Benedettine, detto comunemente di Santa Caterina, e fu fondato da un nobil uomo sambucese, certo Giovanni Domenico d’Irlando nel 1515 lI corpo del grande edificio del monastero fu costruito tutto intorno alla chiesa da tre lati: a sinistra dove comprendeva i locali dell’attuale casa canonica dell’arciprete-parroco e degli uffici municipali che delimitano il cortile-giardino sino alla Via Telegrafo; a destra dove comprendeva il grande chiostro, demolito subito dopo la prima guerra mondiale per crearvi l’attuale Piazza della Vittoria con il monumento ai caduti. La chiesa, gravemente danneggiata nei giorni del terremoto del 1968 costruita contestualmente al monastero, fu adornata di stucchi nel ‘600, dallo stuccatore sambucese Giuseppe Messina. Si tratta di un barocco grossolano di prima esperienza, artigianale e forse per questo molto pregiato. Tra le opere d’arte che arricchiscono la chiesa del Monastero sono: una statua lignea di Santa Caterina d’Alessandria (1500); una grande pala di altare di Fra Felice della Sambuca che raffigura la glorificazione del Marchese Don Pietro Beccadelli che dotò e arricchì il Monastero e la Chiesa di rendite e di opere d’arte; una tela raffigurante la Madonna con il Bambino seduta con S. Gioacchino e S. Anna di scuola fiamminga, custodita personalmente dal Parroco, ed altre opere d’arte. Chiesa e convento del Carmine – (foto) Oggi Santuario della Madonna dell’Udienza, riportata allo stato attuale da una serie di interventi, fu fatta costruire nel 1530 dal Marchese della Sambuca, Don Salvatore Bardi Mastrantonio, e dedicata a S. Antonio Abate. Un suo successore, invece, Don Vincenzo Bardi Mastrantonio, fu il fondatore del Convento dei Carmelitani, costruito in adiacenza alla chiesa, opportunamente ampliata intorno al 1615. Così ampliata la Chiesa venne dedicata alla Madonna Annunziata. Successivamente nel 1633 venne modificata: furono costruite le due navate laterali minori restando come navata centrale il corpo primitivo della chiesa. All’inizio dei 1900 si iniziarono i lavori che dovevano portare la chiesa allo stato attuale nel 1928, anno in cui fu completato anche il frontespizio, opera monumentale dell’artigianato locale sotto la guida di scalpellini e scultori palermitani tra i quali Salvatore Affronti. Nel 1981 il pittore Tommaso Montana e il giovane Enzo Maniscalco restaurarono l’abside del Santuario con molta abilità e senso artistico non comune. Nell’interno si possono ammirare: la statua marmorea della Madonna dell’Udienza attribuita ad Antonello Gagini. (1478-1536); La statua marmorea di Sant’Anna con la Madonna fanciulla di scuola gaginiana; un Crocefisso ligneo, proveniente dall’ex Convento di Santa Maria di Gesù (Sec. XVII); un fercolo ligneo,, opera monumentale e artistica che riproduce un trono regale culminante in una corona sorretta da colonnine scanalate sormontate da capitelli: doratura di fine fattura classica. Il fercolo serve per portare in processione, sulle spalle di cento uomini detti «I nudi», la statua della Madonna dell’Udienza, Patrona e Protettrice di Sambuca, la terza domenica di maggio. Nel 1982 il fercolo fu restaurato da Tommaso Montana ed Enzo Maniscalco. In questa chiesa sono anche dei monumenti funebri eretti in onore di uomini illustri e di patrizi sambucesi. Tra essi ricordiamo quello della famiglia Navarro, opera del Gallori, degli Oddo e dei Planeta. Il Convento dei Carmelitani, forma un impianto unitario con la chiesa.costruito su un n poggio di pietra tufacea, visibile dalla Via Santa Croce (lato est), il Convento comprendeva i corpi bassi che si aprivano nella. Via Pietro Caruso, un ammezzato, un primo e un secondo piano del Convento: quest’ultimo corrispondeva al primo piano di Via Pietro Caruso. I primi frati che abitarono il Convento furono i frati di Sant’Elia, che abitarono in locali adiacenti alla Chiesa di Santa Lucia, abbandonato perché angusto e fatiscente. Gli ultimi frati lasciarono il Convento nel 1866. Parte del Convento oggi è di proprietà del Comune. Degno di nota è il chiostro che racchiude, attraverso arcate che poggiano su colonne tufacee monolitiche, l’area del giardinetto su cui si affacciavano le celle dei frati.
Palazzo Ciaccio – (foto) – (foto) Dirimpetto alla fiancata sinistra della Chiesa del Carmine sorge – sempre sul Corso Umberto – l’imponente Palazzo della famiglia Cuccio-Si tratta di un massiccio edificio fatto costruire,, in, stile rinascimentale fiorentino alla fine dell’80Q dal. Cav. Antonino Ciaccio, proprietario finanziatore, progettista e direttore dei lavori. L’isolato, delimitato dal Corso Umberto, dalle Vie fratelli Costanza, Notar Ganci e Roma, s’impone al visitatore per la monumentalità, il calore della pietra, l’armonia delle linee.
Continuando a percorrere Corso Umberto, sulla sinistra si apre uno slargo, Piazza Purgatorio, già della Loggia, e prima ancora Largo Idea. Sullo sfondo del Largo è la Chiesa del Purgatorio. È importante perché vi si trova l’unica tela di Fra Felice della Sambuca prodotta in senso esclusivo e cioè non riprodotta com’era solito fare questo pittore tosto ché un committente gliene chiedeva copia. Si tratta anche dell’unica tela firmata. La grande pala collocata sull’altare maggiore raffigura il Purgatorio e la purificazione delle anime. La Chiesa del Purgatorio fu costruita nella prima metà del 600 e fu sede di una numerosa e ben organizzata Confraternita della Buona Morte. Proseguendo il percorso della Via Grande ci si imbatte in un doppio arco «trionfale», sovrastato da tre eleganti balconi. I due archi sono separati da un portale che a sua volta sopporta uno spaccato quadrangolare delimitato da una .cornice sbalzata. Entro questa cornice nel 1938 fu collocata dai fascismo locale, secondo le disposizioni di quello nazionale, la lapide contro le sanzioni antifasciste con enfatiche righe che esaltavano la politica autarchica del Duce. Al suo posto oggi è un orologio, dono di Francesco Riggio, illustre direttore di orchestra in terra di America dove emigrò in giovanissima età. Il Palazzo di fattura secentesca fu costruito, sull’impianto della Porta da cui si accedeva alla città-fortezza di Zabut, dalla famiglia Oddo e ceduta successivamente ai Giurati del tempo perché fosse sede della municipalità. Restaurato internamente sul finire degli anni ’60, ospita oggi l’Amministrazione attiva, il Consiglio municipale, gli uffici amministrativi. Nel Palazzo comunale si conservano opere di arte moderna di artisti contemporanei. Ricordiamo le opere degli illustri concittadini:Gianbecchiina l’autore di un affresco dal tema drammatico: il terremoto del 1968 Nino Maggio, autore di una scultura lignea; Nino Ciaccio, autore di opere che riproducono luoghi architettonici di «Sambuca scomparsa»; ed altri come Francesco Marino: emigrati; Andrea Carisi (grafico): Mafia; Ignazio Navarro, Vincenzo Sciamé.
Doppiato l’arco di sinistra del Palazzo Municipale si entra in Via Belvedere. Sulla sinistra è Largo S. Michele. Vi sorge la chiesa omonima, considerata per tradizione – in quanto ad età – come la seconda chiesa di Sambuca. Molto probabilmente fu fondata subito dopo la cacciata dei Saraceni, nella prima metà del XIII secolo. Lo prova il fatto che la porta centrale di questa chiesa, all’atto della costruzione, si apriva sulla parte opposta, dove oggi è l’abside. In queste parte, prima del 1400, non esistevano altri impianti urbani SE non la Chiesa di San Giorgio: entrambi le chiese, quindi, si affacciavano sulla medesima piazza. D’altro canto nel lato sud, oggi Largo San Michele, dove si affaccia la chiesa, correva solo il bastione che chiudeva Zabut. Quando vi sorse il Palazzo Truncali-Panitteri-Amodei (1500) ed ebbe inizio l’espansione del primo nucleo urbano si rese necessario creare l’ingresso della chiesa nel lato sud. E ciò anche per obbedire alla tradizione cristiana, che allora era rigorosamente osservata, di orientare le chiese verso l’«Oriens» e con l’apertura verso il punto opposto. L’assetto, con costruzione dell’intero frontespizio, del campanile con relativa scala a chiocciola in tufo arenario a blocchi concentrici, e dei tre portali con rispettive porte, pare essersi concluso nel 1596. Questa data risultava scritta sul piedistallo di una colonna, vicina al nuovo portale sino al 1932. In quell’anno crollò la volta della navata centrale e di quella destra; la chiesa venne restaurata anche nelle fondamenta e la data scomparve. La Chiesa è dedicata a San Michele Arcangelo presenta linee architettonicamente perfette, colonne quadrangolari, volte a botte. Vi si venera un crocefisso ligneo su croce laminata in argento. entrambi databili a fine cinquecento. Interessante la statua equestre lignea di S. Giorgio, il fercolo secentesco, in legno scolpito che veniva usato per portare in processione il Crocefisso. Nelle pareti dell’abside si possono ammirare due affreschi di Gianbecchina raffiguranti angeli con trombe.
Palazzo Panitteri – (foto) Di fronte Chiesa di S. Michele è il Palazzo Panitteri: «…Si comprende in questa parte del paese la Chiesa di San Michele, dirimpetto alla quale è posta l’antica casa, un tempo del sacerdote don Bartolo Truncali, circondata da quattro vie: Largo San Michele, Via Panitteri, Vicolo Calcara, Via Gaspare Puccio, oggi possseduta dagli eredi di don Pietro Amodei Panitteri». Questa è la descrizione del Palazzo che noi battezziamo – essendo appartenuto a tre ceppi diversi – «Truncali-Panitteri-Amodei», fatta alla fine del secolo da uno studioso di topografia, l’abate Vito D’Amico. Il D’Amico con questa nota ci mette sulla traccia delle origini del Palazzo. Ci conferma, intanto, che il palazzo appartenne ad un prete, don Bartolo Truncali. Si sa di questo prete che fu nipote di un omonimo zic molto potente che visse a cavallo tra il XVI e il XVII secolo Di costui si sa ancora che abitò il detto palazzo dopo averlo assestato nella struttura in cui si può ammirare a tutt’oggi Il Palazzo, comunque, dovette preesistergli di sicuro e fu certamente costruito come torrione di avamposto lungo le mura che circondarono la cittadella di Zabut sino al periodo in cui ebbe inizio la sua espansione dopo la distruzione di Adragna, avvenuta nell’autunno del 1411. Spostate a sud le mura di Sambuca, il Palazzo si trovò al centro del nuovo agglomerato che andava sorgendo tutt’intorno. Adibito, da fortezza, a palazzo di civile abitazione subì ritocchi stilistici, rimanendo intatte le strutture murarie. Il Palazzo conserva la forma quadrangolare che racchiude un ampio cortile. Da due lati il cortile è delimitato da alte mura (Vicolo Calcara e Via G. Puccio) rivestite da folti ciuffi di edera. Gli altri due lati sono delimitati, da una parte, dal corpo centrale del Palazzo che si affaccia sulla Via Panitteri con un superbo frontespizio; dall’altro dalla fiancata Nord che dà sul Largo San Michele. La coda di questa fiancata risulta di recente rifacimento. Molto probabilmente il palazzo subì qualche grosso guasto per cui fu necessario demolire la parte fatiscente e sostituirla con un’ala che forse fu adibita agli inizi del secolo come «dipendenza» per la servitù. È molto evidente la deturpazione. Nell’interno del cortile si aprono, nel piano terra, vasti magazzini. Un ampia scala di stile catalano porta al piano superiore, che comprende una zona soggiorno costituita da una grande sala adiacente alla cucina e alle dipendenze di servizio; una zona per grandi ricevimenti costituita da un superbo salone con soffitto a cassettone, pareti dipinte, pavimento in ceramica antica. Il salone viene servito di luce dal balcone centrale del palazzo e infine una zona costituita da sale da letto. L’arte e le strutture del Palazzo T.P.A. sono caratterizzatE da linee attinte al tardo rinascimento siciliano e da forti vocazioni verso quel vago senso del nuovo che poi avrà la su, concreta fioritura nel barocco isolano, sobrio, austero e monumentale. Per la storia va detto anche che il palazzo appartenne a( un illustre prelato, Don Giuseppe Panitteri, Ciantro delle Cattedrale di Girgenti, vicario generale della diocesi omoni ma, procuratore generale del Marchese Beccadelli, grandi archeologo e mecenate. Nella Valle di Girgenti acquisti l’area dell’ex monastero di San Nicola, vi eresse una vili (l’attuale area su cui insiste il Museo Nazionale) e vi promosse campagne di scavi. Nacque il 2 ottobre 1767. Dal 1795 1828, anno della sua morte, visse in Girgenti. Ritornando in Via, Belvedere ecco un, secondo slargo triangolare; Piazza Navarro. Sino alla fine degli anni ’50 que4sta piazza era dominata dalla struttura massiccia e severa della Chiesa di San Giorgio. Questa chiesa ritenuta la più antica della Terra di Zabut, perché costruita – à giudizio di alcuni – sulla moschea araba, purtroppo andò distrutta per vetustà e incuria degli uomini. Il prof. Umberto Rizzitano, illustre arabista, ebbe sempre perplessità ad ammettere che questa chiesa fosse stata costruita su una moschea o fosse il risultato di una moschea trasformata in chiesa. Fu senza dubbio la più antica chiesa di Sambuca se già nel 1417, appena distrutta Adragnus, fu montato su un torrione del lato sinistro un antichissimo orologio proveniente dalla distrutta Chiesa di S. Vito.
Piazza e palazzo Navarro (foto) – (foto) – (foto) Tutta la teoria di case adornate di balconi, terrazze, loggette che fiancheggiano a sinistra la piazza omonima fu proprietà ed abitazione della numerosa famiglia di Vincenzo Navarro. L’intero impianto è il risultato di ristrutturazioni di preesistenti fabbricati la cui costruzione risale ad età molto remota, di sicuro alla seconda metà del 700, e fu compiuta dallo stesso Vincenzo Navarro, almeno limitatamente al primo corpo di fabbricati. La parte, invece, che insiste sull’arco del vicoletto che si collega con Via Graffeo, non fu manomessa; la data della costruzione di questa struttura occorre collocarla tra quelle che presentano la medesima caratteristica e che si fanno risalire alla fine del 500 e agli inizi del 600. In questo palazzo nacquero quasi tutti i figli del Navarro, medico, poeta, letterato e patriota, tra cui il più famoso, Emmanuele (1838-1919), detto della Miraglia, autore di racconti e del romanzo «La Nana», precursore del verismo, amico di Verga e Capuana, vissuto a Parigi nell’anno della Comune e poi per parecchi lustri nei salotti frequentati dalla Sand, V. Hugo, Sardou, Gambetta ed altri. Nel 1981 la Municipalità di Sambuca ricordando i cento anni della pubblicazione de «La Nana» scoprì una lapide sul muro dell’ex Convento di S. Caterina nel Corso Umberto. La casa dei Navarro fu cenacolo di”vita artistica e letteraria e sede ideale del cosiddetto «Salotto sambucese» dell’800. Il Salotto pubblicò un quindicinale di «amenità letterarie», «L’Arpetta». Ma Casa Navarro ospitò anche uomini politici, patrioti e garibaldini insigni: Crispi, i generali La Porta, Orsini, Baratiere, reduci dell’inganno ordito ai danni dei Borboni alle porte di Palermo per consentire al grosso delle truppe guidate da Garibaldi di entrare nella capitale dell’Isola. Infatti, un gruppetto di ardimentosi guidati dal colonnello Vincenzo Giordano Orsini ebbe il compito di attirare l’attenzione del colonnello Von Michel e di trascinarlo nell’interno della Sicilia in un vano inseguimento facendogli credere di trovarsi di fronte all’avanguardia dell’esercito dei picciotti. Feriti, stremati di forze e affamati i ragazzi della «Colonna Orsini» vennero ospitati prima a Miccina, nella Masseria dei Ciaccio, e poi a Sambuca in Casa Navarro, dove i feriti vennero curati.
Chiesa Madre o Matrice – (foto) – (foto) – (foto) – (foto) L’escursione verso il nord della città ci porta nella Piazza Baldi Centellis, chiamata così in ricordo dei primi marchesi della Sambuca, ma principalmente a memoria di Donna Giulia, marchesa, e della sorella Maria che nella prima metà del 600 finanziarono la costruzione del monumentale tempio, la Matrice, che domina questa piazza. La Chiesa occupa una parte dell’antico Castello di Zabut e tutta la parte della primitiva Chiesa di S. Pietro Apostolo costruita intorno al 1420. La nuova costruzione del 600 è quella che possiamo ammirare oggi anche se gravemente danneggiata dal terremoto del 1968. Si tratta di una chiesa a tre navate, divise da colonnate che sorreggono archi a tutto sesto. Di forma a croce romana, nel punto in cui il transetto si interseca con la navata centrale s’innalza la cupola di ispirazione. rinascimentale. I muri, le colonne, le volte reali, le basamenta ciclopiche di pietra tufacea dura conferiscono al tempio un rigore e un’armonia claustrale che conquista il visitatore. Il campanile, che culmina a guglia piramidale, coperta da quadrelle di ceramica policrome e sorretta da enormi ma armoniose foglie d’àcanto scolpite nella dura pietra del tufo, è un raro gioiello che non è facile trovare nell’architettura d’epoca della Sicilia occidentale. Opera di artigianato locale che lavorò sotto la guida di ingegneri palermitani, la Matrice è ricca di stili compositi: il portale di rozzo stile arabo-normanno proviene di sicuro da una delle chiese della distrutta Adragnus; mentre tutto l’ornato del portale della fiancata destra che si affaccia sulla Piazza Baldi Centellis è ispirata a motivi rinascimentali commisti a delicati influssi barocchi. Nell’interno sono da ammirare un trittico ligneo della Crocefissione con i Santi Giovanni Evangelista e Maria di Magdata sullo sfondo di una grande pala lignea raffigurante in bassorilievo l’«Albero dei Martiri» con al posto dei frutti reliquiari; L’opera proviene dalla scuola trapanese del 600; una tela raffigurante i Tre Santi incoronati della Scuola del Novelli; un affresco staccato dalla parete di una cappella della Chiesa di S. Giorgio, attribuito al sambucese Turano; un’acquasantiera di scuola gaginiana; la grande pala dell’altare maggiore raffigurante l’Assunzione di ispirazione tintorettiana ed altre tele delle scuole siciliane del 700.
Terrazzo Belvedere o Calvario – (foto) – (foto) La Piazza Baldi Centelles immette, attraverso una comoda scalinata, in quella parte dell’ex Castello di Zabut che costituiva I acropoli fortificata. Nel secondo 800 furono demolite le strutture che ancora rimanevano e fu ricavato un grande terrazzo per celebrarvi la Crocefissione del Venerdì &à toQPer,questo fu chiamato Calvario. Il «calvario», però, fu adibito a questo scopo solo per poco tempo. Subito dopo laprima guerra mondiale il Cristo Morto fu celebrato all’interno della Chiesa Madre. Il Calvario fu battezzato «Belvedere». Vi si può ammirare uno stupendo panorama che sconfina oltre le terre sambucesi sino alle terre sveve di Giuliana di Caltabellotta di Chiusa Sclafani, nello sfondo le montagne delle Rose e la catena interna dei Monti Sicani. Il Quartiere Arabo – (foto) – (foto) – (foto) Scendendo dal Terrazzo Belvedere il visitatore può trovarsi subito, percorrendo la viuzza lungo il muro del campanile della Matrice in Via Fantasma. Siamo nel Quartiere arabo delimitato in questo punto Settentrionale, da un lato dal Vicolo degli Emiri e, dall’altro, da Via Fantasma. Il nome stesso di queste due vie ci mette nell’atmosfera storica dei «sette vicoli saraceni»: sette viuzze una diversa dall’altra ma tutte con il taglio impresso dallo sconosciuto urbanista che le ideò; urbanista che senza dubbio dovette essere lo stesso primo nucleo saraceno che qui si insediò. «Fantasma» venne chiamata la via più grande che taglia il quartiere da nord verso sud dal popolino e poi, nel 1882, dalla Municipalità perché in quella zona venivano viste delle ombre rassomiglianti a guerrieri arabi. La paura e i pregiudizi furono tanto ossessivi che in occasione di una predicazione ad opera di un padre gesuita, avvenuta sul finire del 500, fu chiesta a furia di popolo la costruzione di una chiesa da dedicare alla Madonna del Rosario per esorcizzare quei luoghi. «Vicolo degli Emiri» è la piccola arteria che da Via Belvedere immette in Via Fantasma chiamata così in onore dei grandi condottieri saraceni, uno dei quali, Al-Zabut, si presume abbia fondato la città omonima di cui ci stiamo occupando. Il Quartiere saraceno di Zabut, diverso dai Rabbati di Girgenti e di Salemi, è tipico esclusivamente di questa città. Qui è una perimetrazione urbana abbastanza marcata e netta che la, segrega da tutto l’impianto urbano del resto della città. Il Quartiere nacque per conciliare esigenze abitative e necessità difensive militari attraverso i secoli, anche se fu violentato da qualche modificazione, non subì alterazioni nè nell’impianto viario nè nella destinazione, socio-economica, abitativa, rurale e artigianale. Chiesa del Rosario – (foto) – (foto) – (foto) Fondata negli ultimi anni del XVI secolo, questa chiesa a tre navate, architettonicamente un pò tozza, dalle arcate e dalle volte piuttosto basse, ebbe frequenza di popolo e splendore di culto. Eccetto il campanile, costruito tra il 1950 e il 1955, in stile molto discutibile, il frontespizio e l’intero impianto conservano lo stile sobrio originale e l’austerità accumulata in quattro secoli di vita. La chiesa è ricca di tele appartenenti alle scuole siciliane seicentesche. Degno di ammirazione il portone ligneo scolpito in bassorilievo in cui si raccontano episodi della vita di S. Domenico di Cusman l’ideatore del «Rosario». Lo stemma domenicano – un cane che porta tra i denti una torcia accesa – lo troviamo composto in ciottoli di colore marrone nel centro dell’acciottolato bianco del sacrato. La Chiesa di S. Michele e la Chiesa del Rosario sono le uniche chiese di Sambuca che si presentano con tre porte frontali, una centrale e due laterali simmetricamente disposte.
Collegio di Maria – (foto) Seguendo il percorso naturale in cui ci immettono, subito dopo Via Fantasma, Via Rosario, Via Celso e poi, doppiando la tangenziale di Via Roma, Via Cacioppo, si perviene ad un’ampia piazza, Piazza Collegio. Ci troviamo di fronte ad un isolato rivestito di una spessa patina di anzianità che copre la pietra tufacea conferendo all’edificio una coloratura piacevole ma indefinibile. È il Collegio di Maria, sino agli inizi del XVII secolo Convento di Sant’Agostino. Fondato sul finire del 1400, chiuso il 14 settembre 1665, riaperto per interessamento del Marchese Don Pietro Beccadelli il 26 novembre 1741 sotto il titolo di Collegio di Maria per l’educazione delle fanciulle, fu chiuso definitivamente nel 1968 a causa del terremoto. Il Collegio è uno dei monumenti più importanti di Sambuca sia dal punto di vista storico che artistico-architettonico. Nell’interno è un artistico chiostro con colonnine monilitiche di pietra tufacea che sopportano il piano-dormitorio composto da cellette che prendono luce dal cortile del chiostro. Incorporata al Convento sul lato destro guardando dalla piazza è una graziosa chiesa costruita sul finire del 500. La fattura dell’altare in marmo, il perimetro quasi ottagonale che viene poi riproposto nella cornice dell’affresco della volta e delle cappelle laterali, accreditano anche la tesi che fu definita e completata nella seconda metà del 700, quando venne cioè riaperta come Collegio di Maria. È in programma una progettazione per il restauro di questo Collegio che sarà destinato a casa-albergo per anziani.
Palazzo Fiore – (foto) – (foto) Il Palazzo Fiore fu costruito tra la fine del 500 e la prima metà del 600 come la maggior parte degli antichi palazzi ancora esistenti in Sambuca. Le strutture e le linee pesanti dei Palazzo risentono molto dello stile della vecchia matrice costruita agli inizi del XVII sec. La qualità compatta e forte del tufo arenario, abbondantemente usato nelle mensole delle balconate, negli architravi e nelle arcature, gli intagli a grossi sbalzi e, poi, l’invecchiamento del tufo che ha assunto la coloratura della Chiesa Madre, stanno a provare questa rispettabile età e questa origine. C’è inoltre il corredo abitativo interno a provare questa vetustà: stanze e saloni ampi, uno scalone con gradinata tufacea, un ingresso acciottolato dal quale si accede al piano superiore e ai vani terreni, un cortile-giardino interno come usava in tutte le case patrizie dell’epoca. Tra gli antichi palazzi sambucesi il Palazzo Fiore di Via Marconi (già Via del Popolo), ha un altro fattore che lo abilita agli occhi dello studioso attento: non ha subito, attraverso i secoli, rifacimenti sconvolgenti da alternarne le linee originali, come di solito avviene per edifici del genere.
Chiesa della Concezione – (foto) – (foto) – (foto) Sita all’angolo tra Via G. Marconi, già Via del Popolo, e Via Concezione, è a pochi passi dal Corso Umberto all’altezza della Chiesa di San Giuseppe. La sua fondazione risale agli inizi-dei 600. Il portale di puro stile arabo-normanno proviene dalla distrutta Chiesa di S. Nicolò esistente in Adragnus. A seguito del terremoto del 1968 subì gravi danni. Venne consolidata e restaurata in fasi successive tra il 1974 e il 1984. La pitturazione dell’intera chiesa è stata ripresa come in originale dal decoratore Tommaso Montana.
Palazzo Giacone Catalanotto – (foto) Di fronte al Palazzo Fiore sorge il Palazzo Giacone Catalanotto. Costruito pressocché contemporaneamente a Palazzo Fiore presenta uno stile diverso. La diversità molto probabilmente fu imposta, in primo luogo, da esigenze di «distinzione» essendo così vicino ad un altro palazzo del locale patriziato, e, in secondo tempo da modificazioni strutturali richieste per ragioni di consolidamento. Tra il piano terra di Via Marconi e la sottostante Via Progresso è un dislivello considerevole niente di più ovvio del ricorso al rafforzamento dell’intero impianto avvenuto nel XVIII secolo che ha alte- rato leggermente la linea architettonica originaria. Difatti le mensole si presentano più agili e più snella è la linea in confronto al Fiore. Originale il grande portale dell’ingresso centrale a sesto leggermente acuto formato da blocchi di tufo bianco, ora ingiallito, proveniente dalla contrada Risinata. Un ampio cortile interno, uno scalone all’aperto, un giardino pensile, ampie sale e un salone per ricevimenti. Ospitò per l’arco di qualche secolo i vescovi di Girgenti che venivano in Sambuca per ragioni pastorali. Nell’interno sono degne di nota: la statua marmorea della Madonna Immacolata, un fercolo ligneo secentesco, un Davide e un Salomone che adornano la pilastratura dell’abside, opera di esperti stuccatori palermitani; sei pale di altare di Fra Felice e gli affreschi della volta, opera di artista palermitano dell’800.
Chiesa di Gesù e Maria – (foto) Ricordiamo questa chiesetta per il pregio di una statua lignea raffigurante la Madonna Addolorata, opera scultorea di eccezionale espressività, della scuola artigianale trapanese del primo settecento; e perché sede nel passato di una confraternita a carattere corporativistico e costituita da soli artigiani.
Palazzo dei Baroni Planeta – (foto) In Via Monarchia è un impianto delimitato dalle Vie Bonadies – Monarchia e da un ampio cortile denominato Pianeta. Si tratta di un palazzo molto antico; la parte che insiste in Via Bonadies facente angolo con Via Monarchia è stata rifatta nella struttura esterna in epoca molto recente. Resta originale tutta la parte che si affaccia in Via Monarchia. L’architettura, lo stile delle balconate, l’uso della pietra e la fattura degli intagli fanno presumere che il palazzo dei Baroni Pianeta sia stato costruito agli inizi del 600. Pare sia storicamente certo che i Pianeta abbiano dato ospitalità ai reali di Napoli nella breve parentesi della Repubblica partenopea. In realtà il Palazzo all’inizio dell’800 conservava l’aspetto baronaie e l’arredo interno che a un tale palazzo si conveniva. Difatti nella seconda guerra mondiale il Palazzo destinato ad ospitare un contigente di militari, venne saccheggiato dalla popolazione nel luglio del 1943. Preziose porcellane recavano la data con il nome dei borboni di Napoli.
Chiesa di S. Lucia – (foto) – (foto) Dalle notizie sul Convento del Carmine si apprende che l’odierna Chiesa di S. Lucia già esisteva sin dal 1615 sotto il titolo di S. Leonardo. In quell’anno i Frati carmelitani abbandonarono l’adiacente Convento di S. Elia, e quindi anche la chiesa, per trasferirsi nel convento del Carmine. Alla luce di questi fatti occorre datare le sue origini nel periodo anteriore alla riforma dell’ordine dei Carmelitani e comunque non piú tardi della fine del XV secolo, in riferimento anche al fatto che sino a questo periodo usava presso i Carmelitani dedicare i loro conventi al grande profeta biblico.
FUORI LE MURA Tra le opere monumentali che troviamo fuori della cerchia urbana di Zabut rivestono interesse particolare alcune opere che si caratterizzano per le finalità diverse per cui furono costruite. Difatti alcune possiamo definirle opere socio-economiche (acquedotto, Mulino di Adragna, Mulini della Valle di Cellaro), altre opere difensive (Torri di Pandolfina e di Cellaro, fortino di Mazzallakkar) e altre ancora insediamenti urbani (Adranone, Casina di Adragna). Antico acquedotto – (foto) – (foto) – (foto) Si tratta di una fuga di archi, fatti costruire, sullo stile degli antichi acquedotti romani, in pietra tufacea dura dai Giurati del Tempo (la data del contratto per la costruzione è del 23 giugno 1633) per consentire l’approvvigionamento idrico dell’abitato. Il terremoto del gennaio del 1968 ha danneggiato l’intera struttura con il crollo di alcune arcate. Restano importanti elementi per potere effettuare il restauro e la ricostruzione degli elementi andati in rovina. Bevaio «amaro» – (foto) Nella via omonima parallela all’antica Via Fra Felice, oggi Via Roma-Crispi, esiste da tempo immemorabile un grande bevaio detto «amaro» per le acque che l’alimentano leggermente insipide in quanto prive di alcuni elementi o se presenti lo sono in quantità poco equilibrata. Per queste ragioni è molto usata dalla popolazione. Le acque provengono da una sorgente locale a pochi passi dal bevaio. In altri tempi per la notte dell’Asciausa (Ascensione) vi si celebrava il rito della benedizione delle acque con grande concorso di popolo. I mulini azionati mediante cascate di acqua furono ne passato fiorenti piccole industrie molitorie; ma furono anchE piccole aziende indispensabili per la vita delle comunità. A valle di Sambuca esistono ancora gli avanzi di una mezza dozzina di mulini ad acqua; tra i più rinomati ed importanti citiamo i mulini di Cellaro, Castronovo, Matromasi. L’unico mulino a Nord del paese fu fatto costruire nel 1797 da Don Giuseppe Beccadelli, Marchese della Sambuca. Si trova a due chilometri circa dal centro storico in contrada Adragna. La struttura che resta è costituita dal bastione, largo un paio di metri, alto, nell’estremità di strapiombo che consentiva lo sfruttamento della «cascata» dell’acqua per far muovere le pietre molari, 12 metri circa.
Villino Ducale di Adragna – (foto) Per la salubrità dell’aria e dell’ambiente il Marchese della Sambuca, Don Pietro Beccadelli, fece costruire un Villino (Casino) nel cuore di Adragna, attiguo alla Chiesa di S. Vito. Si tratta in realtà di ristrutturazione di un preesistente edificio di data molto remota e comunque non posteriore a quella della costruzione dell’attuale Chiesa di S. Vito. Il villino o casino è costituito da un corpo massiccio con vista sulla vallata; un muro alto tre metri delimita un cortile al quale si accede attraverso un portale con arcatura a sesto. Nei piani terreni, adibiti a magazzini e stalle, si aprono delle finestre quadrate; le finestre del piano superiore sono servite da mensole; nel lato est uno sperone di sostegno imprime monumentalità all’impianto architettonico. Le aperture dei corpi bassi sono incorniciate in portali leggermente cuspidati del medesimo stile dei due portali dell’attigua chiesa. Una scala in pietra, all’interno del cortile, porta al piano superiore. La simmetria e l’armonia che si riscontra in tutte il complesso architettonico, il calore della pietra, i massetti squadrati, la cui connessione pur senza malta fu delizia della genialità dei maestri muratori dell’epoca, esprimono compattezza e solidità e presentano un fascino straordinario che trascina il visitatore in pieno Medioevo sambucese.
Chiesa della Bammina – (foto) – (foto) La Chiesa della Bammina in Adragna costituisce un tutt’uno con il «Casino» dei Marchesi della Sambuca nella contrada omonima. Dell’intero complesso è la parte più antica, preesistente agli inizi del secondo millennio. Questa vetusta data è comprovata dalla scoperta di alcuni affreschi portati alla luce dal Maestro Gianbecchina nel 1963. Il più importante è quello che rappresenta la crocifissione sulla parete dell’altare maggiore. Si tratta di una pala sprovvista di cornice al posto della quale è un’ancona che conferma l’origine trecentesca dell’affresco. Fu dedicata, sin dalla fondazione, a S. Vito (di Mazara), martirizzato nel 303 sotto la persecuzione di Diocleziano il cui culto, subito dopo il suo martirio, fu molto vivo e diffuso nella Sicilia occidentale. Si presume che successivamente nel periodo bizantino la Chiesa venne dedicata alla Madonna Bambina.
Adranone (VII sec. a.C.) – (foto 1) – (foto 2) – (foto 3) – (foto 4) – (foto 5) – (foto 6) A Nord di Adragna è l’interessante zona archeologica. Gli scavi, iniziati ad opera della Soprintendenza Archeologica di Agrigento nella seconda metà degli anni ’60 e a tutto oggi proseguiti, hanno portato alla luce una ricchissima necropoli e al reperimento di un prezioso materiale, catalogato ed esposto nei locali del Museo Nazionale di Agrigento. Sono venuti altresì alla luce: le mura per un perimetro di svariati chilometri, una delle porte di accesso alla città-fortezza, l’acropoli con basamenta di templi punici. Degno di attenzione un quartiere artigianale e commerciale e il fatturato artigianale: anfore, enormi pithos, utensili vari. L’importanza di Adranone sin dagli inizi degli scavi è stata sottolineata dalla stampa nazionale ed internazionale; Le Monde ne ha scritto nell’agosto del 1972 e qualche anno fa. A 900 metri di altezza, di fronte ad uno scenario incantevole, con i piedi su queste strutture millenarie si osserva, si medita e si resta immersi in un passato di cui si ha voglia di conoscere date, momenti storici, misteri di civiltà sepolte.
Fortino arabo di Mazzallakkar – (foto) A valle di Sambuca, nella zona dei Mulini, tra Torre Cellaro Masseria di Fondacazzo e collina di Castellazzo, sono i ruderi del Fortino arabo di Mazzallakkar. Fu costruito come avamposto in quel «luogo remoto»; «remoto» rispetto alle terre occupate dagli Arabi lungo la costa tra Xacca e Mazara del Vallo. La sua costruzione fu realizzata nello stesso periodo della fondazione di Zabut e cioè intorno all’830. L’impianto del Fortino è di forma quadrangolare; in ogni angolo è un torrione di forma circolare coperto da cupoletta in pietra calcarea con un ornato cuspidale che dovette essere una fiamma o una mezzaluna; i torrioni sono guarnite di feritoie; l’altezza delle mura è di quattro metri circa. Mazzallakkar si trovava in ottime condizioni, anche se adibito a ricovero di armenti, sino agli anni ’50. Dopo la costruzione della diga che sbarra le acque del fiume Rincione-Carboj, il fortino viene sommerso parzialmente dalle acque del Lago Arancio per circa sei mesi all’anno. Sottoposto a continue escursioni termiche ed altrettanti depressioni idrogeologiche si va distruggendo lentamente. Un capolavoro storico e architettonico, unico in Sicilia, che merita di essere salvato. Su questa imponente testimonianza della presenza araba ha scritto una pregevole monografia la professoressa Anna Maria Schimidt dell’Università di Palermo.
Un lago artificiale nato dallo sbarramento, come sopra detto, delle acque dell’intero bacino d’impluvio del territorio sambucese che si convogliano nel Fiume Rincione-Carboj. Il Lago occupa una superficie di circa quattrocento ettari nella Valle dei Mulini ed ha una capacità d’invaso di circa quaranta milioni di metri cubi di acqua per scopi irrigui. È un bene naturalistico di grande importanza per lo sviluppo agricolo ed ha un eccezionale fascino. In questo specchio di acqua si allenano gli sportivi di scinautico italiani, gli azzurri. Nel 1981 fu scelto per i campionati europei juniores di sci nautico. Nel 1983 (3/4 settembre) vi sono stati disputati i campionati mondiali seniores/2. Nel 1984 vi si svolsero le competizioni per un trofeo triangolare tra Italia-Francia-Inghilterra. Esiste sulle sue sponde anche una piccola chiesa costruita da Mons. Bellini con il contributo di tutta la comunità ecclesiale – (foto).
Torre di Cellaro – (foto) Dal nome di questo ex feudo prende il nome il vino omonimo nelle tre qualità: rosso, rosato e bianco. La «torre», chiamata così, fu in realtà una villa della tardo-romanità. È una costruzione matta che conserva intatto lo stile romanico in alcune aperture guarnite di archi, adibite a finestre. Dagli avanzi rudimentali e da alcuni rozzi mosaici rinvenuti nella vallata di Cellaro si desume che dovettero esistervi insediamenti di ville appartenenti a benestanti agricoltori nel periodo che va dal V secolo all’830, anno dell’invasione araba.
Torre di Pandolfina – (foto) Si erge maestosa e ancora ben conservata, sulle vie che vanno verso le terre occidentali di Zabut, una torre chiamata di Pandolfina dall’ex feudo omonimo. La Torre fu costruita nel periodo dei Baroni e non più tardi della seconda metà del XIII secolo. Il valico di Pandolfina fu strategicamente vitale per l’intera Valle di Zabut. In questo luogo trovarono un’agguerrita resistenza le truppe di Cabrera negli ultimi giorni della guerra di successione al Trono di Sicilia. La Torre, munita di feritoie e di merli classici, domina l’angolo del massiccio muraglione quadrangolare nel quale si entra attraverso un portone guarnito da un portale medievale. Nell’interno del quadrilatero adibito, purtroppo, ad azienda agricola, furono costruite stalle e fienili.
Il territorio di Sambuca è ricco di beni naturali e naturalistici, tra essi vanno ricordati i boschi la cui formazione, recente, ha ripristinato la bellezza di un ambiente depauperato attraverso i secoli. Difatti sino a tutto il primo millennio dopo Cristo i monti attorno Sambuca erano coperti di boschi di querce di cui restano imponenti esemplari nella zona di Adragna e in alcuni tratti della Gran Montagna. Questo patrimonio boschivo è di circa 2000 ettari; il sottobosco è ricco di flora cedua e di rara fauna: conigli, volpi, lepri, istrici, coturnici, beccacce, tortore, corvi, qualche esemplare di aquila reale.
Nella parte Sud della Gran Montagna nel punto di declivi verso il Lago Arancio, si estende il Parco della Risinata a trezzata di barbecues, servizi, giochi per bambini, un piccolo museo etno-antropologico e della cultura materiale agro-storale. Aria salubre, acque cristalline e una grande pace. Nell’ambito dello stesso Parco sarà costruito un camp ostacoli per concorsi ippici nazionali ed internazionali. Vi accede dalla SS 188 attraverso la strada che porta al Lag Arancio. Da Sambuca vi si scende attraverso una strada comunale che costeggia la Valle di S. Giovanni e dei Mulini
Tra i monumenti sparsi nelle campagne vanno ricordati bevai o abbeveratori che si trovano collocati lungo le e trazzere regge o nell’ambito di ex feudi. In genere questi caratteristici monumenti, cui l’artigianato locale dedicava arte e ingegnosità, sono di pietra calcarea tufacea a secondo dei luoghi dove venivano costruiti e collocati. I blocchi venivano scalpellati uno per uno – in genE re di forma rettangolare, nel lato basale si dava un’incurvatura di quasi 45° e collocati con abilità e maestria tali, talora persino senza malta, da non consentire perdite di acqua o cedimenti o consunsione per maldestra manodopera. Tra essi ricordiamo i bevai di Manera o Vanera, Risinata Mulino di Adragna, Cellaro, Bevaio amaro nella periferia del paese, Casa Bianca, Vivichiaro e, al confine con Contessa Bevaio Paradiso.
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Le notizie sono tratte dal libro “Alla scoperta della Terra di Zabut” di Alfonso Di Giovanna, edito nel 1985 dalla PRO-LOCO « ADRAGNA CARBOJ» di Sambuca di Sicilia (AG) su progetto grafico dell’arch. Alessandro Becchina. |
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