INFERNO – Canto V

A guardia del secondo cerchio della voragine infernale i due pellegrini trovano il ringhioso Minosse. questi, dopo aver udito la confessione dei peccatori che si affollano al suo cospetto, attorciglia la coda intorno al proprio corpo, per indicare, con il numero dei giri, il cerchio dove ogni dannato dovrà espiare la sua colpa. Nel secondo ripiano  scontano il loro peccato le anime dei lussuriosi: nel buio un’incessante bufera le travolge, facendole dolorosamente cozzare le une contro le altre, cosicché l’aria è piena di lamenti.

Pregato dal suo discepolo, Virgilio gli addita i personaggi celebri dell’antichità e del Medioevo che non seppero vincere in sé la passione, e che per essa perdettero la vita: Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena, AchilleDante esprime il desiderio di parlare con due di queste ombre: esse, diversamente dalle altre, procedono indissolubilmente unite e sembrano quasi non opporre resistenza al vento. Sono Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, colpevoli di adulterio.

Chiamati da Dante, i du e peccatori si accostano, e Francesca, manifestata al Poeta la sua gratitudine per aver egli avuto pietà della loro pena, narra di sé e dell’amore che con tanta forza la legò a Paolo. Dante, turbato, vuole sapere quali circostanze portarono il loro sentimento reciproco a trasformarsi in amore colpevole, e Francesca si abbandona ai ricordi del tempo felice: erano soli; leggevano un romanzo; fu quella lettura a far incontrare i loro sguardi, a farli trasecolare; fu il primo bacio scambiato fra i protagonisti di quel romanzo a renderli consapevoli della loro passione. Mentre Francesca parla, Paolo piange: a questa vista, per la profonda pietà, Dante perde i sensi.

 

 

 

 

1 – Così discesi dal cerchio primato
giù nel secondo, che men luogo cinghia,
e tanto più dolor, che punge a guaio.
.
4 – Stavvi Minòs orribilmente e ringhia:
esamina le colpe nell’entrata;
giudica e manda secondo ch’avvinghia.
.
7 – Dico che quando l’anima mal nata
li vien dinanzi, tutta si confessa;
e quel conoscitor delle peccata

.10 – vede qual luogo d’inferno è da essa;
cinesi con la coda tante volte
quantunque gradi vuol che giù sia messa.
.
13 – Sempre dinanzi a lui ne stanno molte:
vanno a vicenda ciascuno al giudizio;
dicono e odono, e poi son giù volte.
.
16 – «O tu che vieni al doloroso ospizio»,
disse Minòs a me quando mi vide,
lasciando l’atto di  cotanto offizio.


.
19 – «Guarda com’entri e di cui tu ti fide:
non t’inganni l’ampiezza dell’entrare!»
E ‘l duca mio a lui: «Perché pur gride?
.
22 – Non impedir lo suo fatale andare:
volsi così colà dove si puote
ciò che si vuole e più non dimandare».
.
25 – Ora incomincian le dolenti note
a farmisi sentire; or son venuto
là dove molto pianto mi percuote.
.
28 – Io venni in luogo d’ogni luce muto,
che mugghia come fa mar per tempesta,
se da contrari venti è combattuto.

.

31 – La bufera infernal che mai non resta,
mena li spirti con la sua rapina;
voltanto e percuotendo li molesta.

34 – Quando giungon davanti alla ruina
quivi le strida, il compianto e il lamento;
bestemmian quivi la virtù divina.
.
37 – Intesi che a cosiffatto tormento
enno dannati i peccatori carnali
che la ragion sommettono al talento.
.
40 – E come gli stornei ne portan l’ali,
nel freddo tempo, a schiera larga e piena,
così quel fiato li spiriti mali
.
43 – di qua, di là, di giù, di su li mena;
nulla speranza li conforta mai,
non che di posa, ma di minor pena.
.
46 – E come i gru van cantando lor lai,
facendo in aere di se lunga riga;
così vid’ io venir, traendo guai,
.
49 – ombre portate dalla detta briga;
per ch’ io dissi: «Maestro chi son quelle
genti che l’aura nera sì gastiga?».


.
52- «La prima di color di ci novelle
tu vuo’ saper» mi disse quegli allotta,
«fu imperatrice di molte favelle.
.
55 – A vizio di lussuria fu si rotta,
che libito fe’ licito in sua legge
per tòrre il biasmo in che era condotta.
.
58 – Ell’è Semiramis di cui si legge
che succedette a Nino e fu sua sposa;
tenne la terra che ‘l Soldan corregge.
.
61 – L’altra  è colei che s’ancise amorosa,
e ruppe fede al cener di Sicheo;
poi e Cleopatràs lussuriosa.
.
64 – Elena vidi, per cui tanto reo
tempo si volse, e vedi il grande Achille,
che con amore al fine combatteo.
.
67 – Vedi Parìs, Tristan0»; e più di mille
ombre mostrommi, e nominolle, a dito,
che amor di nostra vita dipartille.
.


70 – Poscia ch’ io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e i cavalieri
pietà mi giunse e fui quasi smarrito.
.
73 – Io cominciai: «Poeta, volentieri
parlerei a que’ due che insieme vanno,
e paiono sì al vento esser leggieri».

76 – Ed egli a me: «Vedrai quando saranno
più presso a noi; e tu allor li prega
per quell’amor che i mena, e quei verranno».

79 – Sì tosto come il vento a noi li piega,
mossi la voce: «O anime affannate,
venite a noi parlar, s’altri nol niega!»

82 – Quali colombe dal disìo chiamate,
con l’ali alzate e ferme al dolce nido
vengon per l’aere dal voler portate;

85 – cotali uscir della schiera ov’ è Dido,
a noi venendo per l’aere maligno,
si forte fu l’affettuoso grido.

88 – «O animal grazioso e benigno
che visitando vai per l’aere perso
noi che tingemmo il mondo di sanguigno,

91 – se fosse amico il re dell’universo,
noi pregheremmo lui della tua pace,
poi c’ hai pietà del nostro mal perverso.

94 – di quel che udire e che parlar vi piace,
noi udiremo e parleremo a vui,
mentre che ‘l vento come fa, si tace.

97 – Siede la  terra dove nata fui
sulla marina dove ‘l Po discende
per aver pace co’ seguaci sui.

100 – Amor ch’al cor gentil ratto s’apprende,
prese costui della bella persona
che mi fu tolta:  e ‘l modo ancor m’offende.

103 – Amor ch’a nullo amato amar perdona,
mi prese del costui  piacer sì forte
che, come vedi, ancor non m’abbandona.

106 – Amor condusse noi ad una morte:
Caina tende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fur porte.

109 – Quand’ io intesi quell’anime offense,
china’ il viso, e tanto il tenni basso
fin che ‘l poeta mi disse: «Che pensé?»

112 – Quand’ io risposi, cominciai: «Oh lasso,
quanti dolci pensieri, quando diso
menò costoro al doloroso passo!»

115 – Poi mi rivolsi a loro e parla’ io,
e  cominciai: «Francesca, i tuoi martiri
a lagrimar mi fanno tristo e pio.

118 – Ma dimmi: al tempo de’ dolci sospiri,
a che e come concedette Amore
che conosceste i dubbiosi dissidi?»

121 – E quella a me: «Nessun maggior dolore
che ricordarsi del tempo felice
nella miseria; e ciò sa ‘l tuo dottore.

124 – Ma s’ a conoscer la prima radice 
del nostro amore tu hai cotanto affetto,
dirò come colui che piange e dice.

127 – Noi leggevamo un giorno per diletto
di Lancillotto come amor lo strinse;
soli eravamo e sanza alcun sospetto.

130 – Per più fiate li occhi ci sospinse
quella lettura, e scolorocci il viso;
ma solo un punto fu quel che ci vinse.

133 – Quando leggemmo il disiato riso
essere baciato da cotanto  amante,
costui, che mai da me non fia diviso,

136 – la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu il libro e chi lo scrisse:
quel giorno più non vi leggemmo avante».

139 – Mentre che l’uno spirto questo disse,
l’altro piangea, sì che di pietade
io venni men così com’ io morisse

142 – e caddi come corpo morto cade.

 

 
 

Immagini collegate: