“In fondo, è possibile che l’immagine sia soltanto
l’espressione della coincidenza (della simultaneità)
dell’idea con la sensazione”.
Bernardo Pinto de Almeida1
Da: “Gente di Fotografia” n. 43 – Primavera-Estate 2007
Le raffinate e delicate creazioni di Luigi Vegini, ottenute manipolando o trasferendo le emulsioni Polaroid su altri supporti, rappresentano da una parte il fisiologico ed epidermico tentativo, inconscio e ancestrale, di nnullare l’azione corrosiva del tempo sulle cose. Aspetto, questo, legato ad un’altra prerogativa del mezzo fotografico: la fotografia permette il possesso fittizio del mondo, ed allora, proprio perché è un’appropriazione effimera, desiderio umano della celebrazione del bello e, per un altro verso, il nobile tentativo, inconscio e ancestrale, di annullare l’azione corrosiva del tempo sulle cose. Aspetto, questo, legato ad un’altra prerogativa del mezzo fotografico: la fotografia permette il possesso fittizio del mondo, ed allora, proprio perché è un’appropriazione effimera, conviene crearcene un’immagine secondo i nostri sogni. In Vegini, questa visione fortemente soggettiva, che conduce a realizzare immagini mentali più che reali, è una fuga dalla realtà solo apparente: il messaggio di queste fotografie o fotopitture è un invito alla riflessione su quanto si potrebbe irrimediabilmente perdere del mondo. I toni delicati e l’astratta o sfumata referenzialità sono un’esortazione all’ascolto, al silenzio, al godimento estetico; ma, implicitamente, anche un anelito a fermare, a congelare il disfa-cimento, il deperimento delle forme.
Esteticamente, in effetti, si avverte la percezione che l’ancoraggio al bello e alle piacevoli sensazioni non sia stabile: lo spappolamento dei contorni ci fa correre qualche brivido ambiguo sulla pelle annullando la sensazione “di un presente che dura senza trascorrere”2
Nel lavoro di Luigi Vegini, il carattere romantico di arrestare l’inesorabile corsa verso il nulla, ci viene rivelato in modo particolare dai consistenti interventi manipolativi sui materiali utilizzati: è la trans-figurazione della realtà, l’andare oltre il reale, il vedere altro, l’immaginare altro: in sintesi, è la dimensione poetica della fotografia.
Certo, i “puristi” dell’arte fotografica sosterranno che a simili conclusioni si può arrivare limitandosi alla scelta delle pellicole, degli obiettivi, delle condizioni di luce, dei tempi e diaframmi da utilizzare. Vegini appartiene ad una seconda schiera di autori: a quanti credono che il contatto fisico, reale con la matericità possa sublimare, completandolo, l’atto del possesso tentando di cancellare lo scarto tra l’immagine del reale e l’immagine mentale.
Questi fotografi fanno anche da tramite tra i primi ed una terza area, più ristretta, ma dialetticamente agguerrita e vivace sul piano speculativo, che sostiene la teoria duchampiana del minimo intervento manuale e di un moderato impiego di tecnologia nella realizzazione delle opere d’arte, all’insegna dell’occultamento dell’autore3:
“Forse è proprio per difendersi, per non perdersi nel pattume delle informazioni, per non farsi assorbire nel rumore di fondo, che molti giovani fotografi tentano di ancorare le loro immagini ad elementi materici. Li vediamo infatti esaltare la fisicità del supporto, o quella dei processi chimici, che diventano gli autentici referenti al posto degli antichi soggetti. Non potendo più avere un rapporto diretto con una realtà, diventata sempre più fantasmatica, si creano, attraverso la manipolazione e l’intervento diretto,
delle realtà seconde.»4
Il fotografo Vegini non si occulta, ma trasferisce nell’essenzialità di un procedimento – che concede tuttavia ampi spazi all’imprevedibile tecnologico – la sua immaginazione e le sue capacità creative realizzando delle opere di una bellezza universalmente riconosciuta.
Vincenzo Marzocchini
Note:
1 Bernardo Pinto de Almeida, Immagine della
Fotografia, Ed. Jouvence 2005, pag. 81.
2 Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo,
Ed. Bollati Boringhieri 2003, pag. 66.
3 Luca Panaro, L’occultamento dell’autore, Ed.
APM 2007.
4 Franco Vaccari, Fotografia e inconscio tecnologico,
Ed. Agorà 1994, 2006, pag. 132..
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