POESIE
Terra amara – Mani inutili – Occhi – Aspettare – Combattere sempre – Sassi – Compagno – Moralità – Seno materno – La fede – Giovinezza perduta – I sogni – La notte – Serenità – Pensieri – Io prigioniero – Ipocrisia – Sambuca – La processione – É festa – Il treno – Il viottolo – Autunno – Inverno – Frutti amari – Occhi di madre – Giovinezza – Sogni d’infanzia – Ritorno alle origini – Lontano – Miseria, sudore e fango – Lume a petrolio – Giovinezza perduta – Un sorriso – Questo è Sud – La rosa – La recita
PRESENTAZIONE
Prima di entrare in argomento dobbiamo dare una definizione della poesia. Che cosa è la poesia?
La poesia è la più alta e nobile forma della letterature, che esprime i fantasmi della mente e i sentimenti del cuore con la parola chiusa nell’armonia e nel ritmo dei versi.
É la più potente di tutte le Arti. Una poesia, quando è vera poesia, non conosce barriere, non ha età, dura eterna. Si volge al presente, rispecchia il passato e profetizza il futuro. É un liquore che inebria. É un entusiasmo, un afflato, un impeto, un furore divino. Anche se non dà pane la poesia è necessaria: deve operare la catarsi dell’uomo e ricondurlo alla natura, madre di tutte le cose.
La poesia inutile non ha ragione di essere. La poesia ermetica nemmeno perché è chiusa, manca di comunicativa; non è un godimento, ma una sofferenza.
Nella letteratura posteriore alla seconda guerra mondiale, passioni civili, guerra fredda e atomica, rovesciamenti politici, trasformazioni sociali sono stati i temi che hanno assillato peti e scrittori.
Di Salvatore Maurici, rinomato scrittore e poeta, abbiamo il piacere e l’onore di presentare il volume di poesie in lingua italiana intitolato «Terra Amara». Sono ritmi del sentimento di un poeta che ha sofferto amaramente ma che ha trovato conforto in seno alla propria famiglia. Il contenuto è interessante, lo stile è maschio e forte, la forma elegante.
Egli anela a una società sana, libera e giusta, con una rivoluzione senza spargimento di sangue. Nel componimento «Terra Amara» (titolo del libro) si nota l’ingiustizia che pesa su quella misera gente condannata alla emigrazione e alla fatica. Due piaghe sopportate con rassegnazione dallo stesso Autore, il cui desiderio è stato di ritornare alla propria patria.
Nei componimenti “Mani inutili”, “Occhi”, “Aspettare”, “Sassi”, Salvatore Maurici esprime lo scontento e la noia dei vecchi contadini “esseri inutili” che vorrebbero diventare “Sassi”.
Nella composizione “Moralità” il poeta assume tono di lamento verso la società caduta nel fango della disonestà e della dissolutezza. Nella composizione “Combattere sempre” manifesta lo sdegno contro i padroni disumani che opprimono e sfruttano la povera gente. Ecco i versi:
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Combattere sempre
si impone ai poveri
per non soccombere
di fronte ai padroni.
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A questo punto s’affacciano alla mente i seguenti vigorosi versi tratti dal capolavoro “L’incendio della miniera” della grande poetessa Ada Negri, di fede socialista, versi che dovrebbero servire al m monito:
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O Razza, o razza conculcata e ignara
cui nulla giova l’esser bella e forte,
se null’altro sai far che darti schiava
Meglio per te la morte!…
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Nel componimento “La fede” il Maurici vorrebbe ritrovare una fede e lo confessa sinceramente in questi versi:
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Fitte tenebre
circondano il mio cuore…
Sperare potrei…
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E così in altri componimenti bellissimi troveremo poesia che rispecchia la sua sensibilità turbata, inquieta, vibrante e febbrile; poesia profonda; poesia della semplicità e dell’umiltà; poesia della tristezza nel vedere tanta vanità, superbia, ipocrisia, sete di oro e di potere, l’umanità colpita dal terrore, dalla violenza, dalla miseria, dalla fame, dalla paura; poesia dell’amicizia, dell’amore verso la propria infanzia, del rimpianto per la giovinezza perduta, della stanchezza venata di nostalgia, della disperazione, dell’ansia quasi sempre inappagata, della festa, della speranza, della resurrezione e della vita.
Pietro La Genga.
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Terra amara… amata,
triste sorte sei costretta a subire,
ti rivedo ogni giorno mendica
per colpa di politicanti sanguisughe.
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La colpa è degli incapaci
se fame e miseria colpiscono i tuoi figli,
colonne lunghe, senza fine,
essi ti abbandonano in cerca di lavoro.
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Pure io sono emigrato
e disperato ho pianto,
stretto ho portato in petto
il desiderio del ritorno.
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Da pochi anni infine sono tornato,
ma sono bastati pochi giorni
per capire che tu non vuoi cambiare,
donna viziosa, che gode dei suoi peccati.
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Mani nude, callose e dure
inerti, lungo il corpo abbandonate,
screpolate e stanche per il lavoro,
insensibili al richiamo della mente.
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Corpi estranei, ormai privi di vita
attaccati al corpo, come parassiti,
esser inutili, ancora intenti
a succhiare un pò di sangue.
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Mani di vecchi contadini
nate Oper armeggiare la zappa a tutte le ore
intente a inumidire i campi
con il proprio sudore.
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Sono fredde adesso,
si toccano fra loro tristemente,
strofinandosi più volte, ripetutamente,
per ritrovare un pò di calore.
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Occhi tristi,
scrutano l’orizzonte, invano,
improvvisamente opachi
privi d’ogni sentimento.
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Occhi attenti,
rapidi e furtivi
fissano il soggetto
e spenti ricadono nel vuoto.
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Occhi di fuoco,
scivolano lungo il corpo, inerti,
fissano le mani tremanti
e tornano nell’oblio, rassegnati.
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Vecchi contadini,
il capo chino,
ansiosa onda
che percuote la scogliera.
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Suoni vivi
pieni di vita
che in essi produce
tristezza e noia.
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Disperato abbandono
all’imbrunire li coglie e,
a coppie si chinano
sulla terra nuda.
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Terra di dolore;
qualcuno l’ha chiamata,
forse un ottimista:
un uomo non sincero.
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Uomini, ovunque superbi,
deridono ogni cultura
o sprecano il loro tempo
sul letto di una futile amante.
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Chi ha dolorosa coscienza
combatte ogni miseria
che ovunque oggi in Italia
insidia le coscienze inermi.
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Combattere sempre
s’impone ai poveri
per non soccombere
di fronte ai padroni.
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Gente seduta ad aspettare
che arrivi a coglierla la morte irsuta,
che scenda a lenire ogni dolore,
tutte le disillusioni giovanili.
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Ecco un vecchio, appena si muove
radi e candidi sono i capelli,
un viso segnato da profonde rughe
quasi aereo, fra boccate di fumo.
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Gli occhi opachi, un attimo s’infiammano
nello scorgere lontano il nipotino,
a gran fatica alza una mano,
lo sforzo di quel gesto lo fa ansimare.
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Sente il vento fischiare fra le dita,
vorrebbe scappare con esso, fra i campi di grano,
ma non può, sconsolato abbassa la mano
e vorrebbe diventare un sasso muto.
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Aprire gli occhi,
lavorare impugnando la zappa,
tornare a chiudere gli occhi per dormire,
compagno, è la tua vita.
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Nessuno ti ferma se sei sfinito,
né trovi qualcuno che ti offra dell’acqua
se l’arsura ti serra la gola,
i colpi del piccone ti segnano la vita.
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Gli occhi ti brillano per la gioia
se la fresca brezza
ti sfiora il viso, leggera,
se l’afoso pomeriggio cede alla sera.
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Moralità,
triste tormento,
il mondo esprime
disonestà ed imbroglio.
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Ti guardi attorno
inutile gesto,
ti dibatti, lotti
contro i mulini a vento.
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Nella giovinezza
da sempre ho creduto,
ma idee, impegno
oggi tutti rifuggono.
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Foglie secche
si staccano silenziose
dalle grosse querce,
una dopo l’altra, lentamente.
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Si adagiano
sulla terra delicatamente,
giacciono inermi
scomponendosi nel nella.
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L’autunno della vita
è giacere fra le foglie,
ritornare al seno memterno,
avvolgersi in esse, serenamente.
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Fitte tenebre
circondano il mio cuore
chissà se ancora potrà
ricolmarsi di gioia.
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Sperare potrei,
tanto costa poco,
debole io sono,
ma lottare voglio ancora.
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Mai potrò da solo
squarciare la notte buia
e, come vivida saetta
ciò che ancora mi circonda.
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Conobbi poco della vita…
e gioventù presto nascosi
annaspai a lungo
nel buio profondo della vita,
invano cercai il sole
e spesso confusi il male per morte.
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Infine venni fuori dal tunnel,
scosso, profondamente provato,
ormai amico del mio destino.
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Se poi ancora in me
qualcosa mi rivolta
allora scrivo un verso
e serenamente mi adagio.
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Trascorro la mia vita
scartando il superfluo
tirando fuori dal cassetto
i miei sogni, ad uno ad uno.
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Rifiuto gli ori,
gli elogi insinceri,
le vanità dell’uomo moderno.
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So che i sogni
al bisogno svaniscono,
ma sono felice
e non recedo.
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Il cuore in libertà
continua a verseggiare
di dame e di guerrieri,
della miseria dei campi, dei buoni sentimenti
che l’ipocrisia degli uomini
oggi rigettano.
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Notte,
che giungi serena
a te mi avvicino
con incerto passo d’amante.
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Notte,
ti tendo le mani,
mi sembrano comodo rifugio
le tenebre attorno.
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Notte,
ansioso ti aspetto,
ecco, ti sveli donna,
un’impudica amante.
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Momenti di serena gaiezza,
il lavoro, l’amore,
intimità di me stesso.
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Impegno di vita
gioia di un bimbo
che attorno mi ciarla.
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Di giovane sposa
che frenetica
accudisce alla casa.
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Tenera amante
appena muove le labbra
e “ti amo” sussurra.
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Voglia di scrivere qualcosa
di capire me stesso
di dire agli altri
quanto sia bello l’amore.
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Il sorriso di un bimbo
un melodioso canto d’uccello,
tutto il mondo
è poesia, è amore.
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Eppure oggi si corre
dietro a falsi valori,
il denaro è un dio potente
e a lui l’uomo china la fronte.
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Io prigioniero, fa muri di specchi
disperato tendo le braccia
che si spingono verso un appiglio
che non riesco ad afferrare.
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Sono stanco… mi fermo,
sdraiato per terra, mi riposo,
sogno le ali di un uccello
e come Icaro, librarmi nel cielo.
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Ma ormai sono stanco…
il mio corpo s’accascia nel vuoto
solo i sogni posso ancora volare
come uccelli, inseguire le nuvole.
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Alla verità che esplode
chiudiamo gli occhi
mirabili ipocriti,
sperando che in noi
tacciano i pensieri.
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Non vogliamo vivere
con l’eterno soffrire
ci sentiamo importanti,
fanfaroni ed ignoranti
giacciono inerti ed incapaci.
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Vogliamo cambiare
semidei ridicoli,
ma siamo dei poveri ciottoli
in un torrente in secca
buoni per essere calpestati.
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Le mie radici
putrescenti, spezzate,
eppure ancora vive.
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Ancora succhiano
linfa vitale,
a volte amara.
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Odori mortali
mesciti insieme
a spiriti rari.
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Sambuca, l’oblio,
la speranza
di un dolce risveglio.
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Voci festose, piene d’allegria
di suoni, di balli,
s’odono per le vie,
sfila la processione;
l’effigie di una Madonna
ed appresso i giovani
le madri curiose
incuranti dell’effigie
ostentano al mondo, lusingate,
i turgidi seni,
gli ori, i gioielli.
Fiera della vanità
mostra del futile,
ad ingrossare quelle file
i sambuchi si affollano.
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É festa, alleluia,
un correre gioioso
un incrociare di voci
ora liete, ora augurali.
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É festa, alleluia,
la felicità si impone.
la tristezza blandisce,
ogni inno sale dal cuore.
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É festa, alleluia,
è giorno d’amore,
ti dice quel bimbo
che guidi per mano.
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Il treno che parte dal sud
non si ferma mai,
fischia a lungo, tristemente
prima delle grandi città.
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Il treno che parte dal sud
è pieno di gente
di grandi e pesanti fagotti
di speranze mai dome.
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Contadini sconfitti,
visi scavati dal sole
vanno incontro al loro destino,
tristemente a tutti sorridono.
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É un treno che parte dal sud.
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Vecchio viottolo di campagna
pieno di sassi, colorati di bianco,
non mi è permesso calpestarti ancora,
privato ormai di un ricordo antico.
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Non hai aspettato il mio ritorno,
perduto ho così le sensazioni, i sogni
di un tempo ormai lontano
quando ancora bambino, ti percorrevo correndo.
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Che pena non trovarti ancora
vecchia mulattiera,
ormai sei tutta coperta
di frasche e di rovi pungenti.
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Triste autunno, finalmente arrivi,
delicatamente con te scende la nebbia
nascondendo agli sguardi, i tristi visi,
tragiche maschere che la società produce.
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Ai giardini pubblici, è un frettoloso vociare;
i cani abbaiano forte e allegramente,
corrono e inseguono le rossicce foglie
che cadono dai rami, appassite.
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Autunno, stagione amara
ancora gli uccelli cantano nei rovi,
ma privo ormai d’allegria,
qualcuno è già andato via.
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Improvvisamente arriva la prima neve,
si tingono di bianco le cime dei monti,
pure la mia barba ha sottile venature,
ogni asprezza sprofonda nell’oblio.
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Padrone lasciami vivere!
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Questa vita tribolata,
la fame di ogni giorno
mi fa chinare la testa
e mangio il mio orgoglio
a tutte le ore del giorno.
-Voscenza benedica e servo vostro-
Devo gridare quando t’incontro
Ma la tua arroganza sputerei.
padrone maledetto,
devo umiliarmi
e spero tu possa morire
ma altri verranno
ancora a sgridarmi;
fino a quando sarò uno schiavo!
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Quanti morti ammazzati
tanti i loro assassini
da sempre sconosciuti,
ignoti.
Ad ogni morto sull’asfalto
la gente manifesta in piazza
urla e spinge
e agita al cielo
rosse bandiere;
tradite dal vento
di sangue innocente macchiate.
Ustica e le sue menzogne
Gladio e i manganelli
e le bombe misteriose,
e i tanti volti del potere.
La piazza urlante
fronteggia i poliziotti
e dalla schiera tumultuosa
una voce sovrasta;
“Siamo tutti compagni”!
Ma il sibilo
dei spietati randelli
coprono le coscienze
di fantocci in divisa.
Perché scende in piazza quella gente?
Per fare che cosa?
Qualcuno oggi cadrà
Sull’asfalto rosso di sangue
ancora una lapide
e bronzee parole
incise a ricordo.
Qualcuno a sera
eleverà un triste canto
e la povera gente
pagherà il conto.
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Una generazione
la mia
che si butta alle spalle
mondi d’ipocrisia.
Scarpette e jeans
in viaggio per le strade
tra asfalti bollenti
che grondano maledizioni,
nell’attesa di un passaggio
verso lontane mete, sconosciute.
Le strade del mondo
piene di sudori
e la certezza
che qualcosa è morta…
Dio è morto!
E si affievolisce l’illusione
di potere trovare
nuovi valori.
Allora è meglio
distendersi sotto le stelle
ad ascoltare i mille rumori del silenzio
e il cuore che batte
pieno d’emozioni.
il cielo.
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Tanti compagni
vestiti a festa
passeggiano in piazza
con le mani in tasca,
i volti sono allegri
per la vittoria.
Più in là
degli stronzi borghesi
e i loro servi
con volti scuri!
Gente falsa, perbene,
sono tornati i compagni
determinati e forti
come in altri tempi,
qualcuno canticchia ancora:
“Trionferà Bandiera Rossa”!
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Ti ho rivista
dopo tanti anni;
eri giovane allora!
La testa piena di sogni
il mondo tra le mani
che volevi cambiare,
intanto ci giocavi
avvicinandoti alla fiammella
come una farfalla,
ti sei bruciata le ali
i sogni più belli.
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Ti ho rivista
dopo tanti anni
ancora ricordavo
il tuo volto di giada.
Gridavi slogans
contro le guerre
il pugno chiuso
quasi a minacciare
i poliziotti antisommossa,
“i servi del potere”!
era il ’68 allora
e Firenze ribolliva
dentro una rivoluzione
che si macchiava di sangue.
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Ti ho rivista
ancora oggi
dopo tanti anni,
sei diversa
ma ti ho riconosciuta
dall’odore della mirra
che accompagna i tuoi passi,
ho incontrato il tuo sguardo
e mille emozioni
sommerse, frustrate
si sono riconosciute
lentamente, con rabbia
uno scontro spietato
che ha frantumato
mondi lontani
e pulviscoli di stelle
si sono alzate
a coprire pietose
le povere cose della terra.
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A voi borghesi inetti
che volete imitare
a tutti i costi
chi vi ha preceduto,
a voi che marcite
nelle vostre case
belle, prive di calore
ipocrite,
circondate di mille oggetti
inutili e costosi,
continuate a succhiare il sangue
della povera gente.
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Voi che mai in vita
avete amato col cuore
ridete del poeta
perché ha scelto di vivere
rompendo le ipocrisie
dentro cui voi vi crogiolate,
insensibili ormai
ad ogni emozione,
mantenendovi fedeli
ad una triste immagine,
indossate voi furbastri
le maschere tristi
di mariti modelli.
Andate per le vie
del vecchio paese
e mostratevi a lungo,
sorridete poi, ipocriti
ad ogni sguardo indagatore
e così, ogni giorno
finché sarete in vita,
sarete bravi attori
recitando voi stessi,
raccoglieteli gli applausi
vi sono dovuti,
essi sono la vostra paga
perché avete posto
fuori la porta di casa
la vita vera!
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Voi che…
vi chiudete la bocca
gli occhi, il naso,
che impedite
al cuore
di pulsare emozioni,
voi condannati
a vivere senza amore
a morire
dopo una vita agonizzante,
aprite gli occhi
almeno in punto di morte
e guardate com’è sereno
il cielo, le stelle che brillano,
tutte le ricchezze
che state per lasciare;
lo sforzo di una vita
è tutto perso!
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Ripercorro antiche strade
vecchie trazzere polverose
un viaggio ripetuto
come un vecchio sogno
alla ricerca del calore
d’ideali forti
di vecchi amici ormai scomparsi
nel pressappochismo del luogo.
Sambuca quante bandiere tradite
l’altare per Granisci
i comunisti, il corso
mercato delle ultime illusioni.
Stanno in gruppi, soli
gli ultimi braccianti
a ricordare lotte antiche
le bandiere rosse, stinte
piantate sulle terre dei padroni
i fucili della mafia pronti
e per l’aria un canto a difesa
“Bandiera rossa che trionferà”.
Hanno gli occhi vuoti, lacrimosi
i crani lucidi al sole
rassegnati come allora,
quando erano servi dei padroni,
parlano tra loro, a gruppi
a pochi passi, vicini
ragazzacci ridono a frotte
parlano del posto di lavoro
di un favore ottenuto
vendono il voto, il corpo
l’anima marcisce lentamente,
ridono….chissà poi per cosa
ridono di quei vecchi
colpevoli di essersi nutriti
d’ideali, di sogni.
Poveri vecchi contadini
amici miei, compagni
che avete osato sognare
ad occhi aperti!
Il consumismo ha vinto
e tutti sono suoi marciapiedi
battono senza ritegno
illusi, perbenisti
incapace di comprendere
che sono tornati schiavi
intenti ad inseguire fantasmi
a pronunciare parole vuote
gli amori sempre comprati
individui morti
che aspettano d’essere sepolti
appena seguiti da lacrime ipocrite
dal canto degli uccelli
che continuano a volare alti
durante la stagione degli amori.
Terra amara, terra amata
donna dai molti peccati
che gode mostrarli
una ferita sempre aperta
virulenta, infetta
che non si rimarginerà mai!
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Sofferenza di un uomo
il suo volto
solcato da profonde rughe:
le sue stimmate!
Gli occhi stanchi
eppure luminosi di vita
alla ricerca di un appiglio
che li faccia sognare,
una vita spesa
tra grandi privazioni
mentre il padrone
ne succhia il sangue,
addio bracciante
lascia nei campi ogni speranza
Marx è morto
seppellisci tra i solchi
tutte le tue illusioni
dopo la tua morte
verranno altri dal mare.
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Luci tremolanti e soffuse
di ombre leggere,
si rincorrono fra loro
maliziose ed aeree.
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Scansano appena
cacciando
pensieri molesti
pensieri che danno tremori
antiche paure
lasciare tutto
dietro le spalle
trascurare impulsi
percezioni divine
e il Dio sconosciuto
terribile
che scaglia folgori!
La certezza
che tutto finisce
quando il corpo muore.
Tutto finisce,
le stagioni, i fiori
si spengono
gli amori giovanili
i ricordi le emozioni.
Nasceranno ancora fiori
su ruderi
copiose le lacrime
donne incinte
partoriranno ancora con dolore
altri templi sorgeranno ancora
altre religioni
la polvere ancora continuerà
questi mondi a coprire.
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Giovinezza
sorrisi e vigore
beata incoscienza
di una grigia esistenza.
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Turbinosi pensieri
si mescolano,
fra loro si oppongono
incertezza ed affanno.
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e poi subitanea
rispunta l’allegria,
ogni ombra è fugata
la vita di nuovo è un sorriso.
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Un sorriso dolcissimo,
tempie argentate,
pervicace una ruga
ti segna il viso.
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Tanto ho amato
quel sorriso mite,
a volte scrutandolo
ho trattenuto il pianto.
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Tu mi ricordi
il triste passato,
con pudore racconti
le trascorse mie pene.
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Non ti ricordi?
Tu non hai mai dubbi
le tue certezze
vengono dal cielo.
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Qualcuno piange!
Certo io non sono,
da te ho appreso
ad accettare il fato.
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Il Sud si ribella
perché è stanco,
non vuole la mafia
che lo avviluppa,
che tende a soffocarlo.
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Ha una ferita aperta,
nel cuore sgorga
copioso sangue,
che và a macchiare i sassi,
la polvere delle strade.
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lunghe colonne d’emigranti
alle fermate dei treni;
ti lasciano i tuoi figli
e si lamentano, e piangono,
o madre crudele.
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S’alza sul rosaio fiorito
lentamente il sole,
i raggi accarezzano
le foglie, i petali,
i teneri boccioli.
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Più tardi
con il caldo afoso
ella declina il capo,
ondeggia al vento
e a sera muore.
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L’indomani rispuntano
nuovi boccioli
riempiendo l’aria
di nuovi aromi,
di tenui colori.
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SI recita,
la commedia della vita,
il tono è serio
iò pubblico assonnato e assente.
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Le parole volano invano,
hanno poco peso
non riescono a scuotere
la noia dell’uditorio
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Invece alla recita del fatuo
c’è un gran pubblico,
non manca il suggeritore
e i ruffiani a far da coro.
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